lunedì 12 marzo 2007

La scoperta della Sorgente

- La nuova scoperta -

Quando si è più piccoli si vivono avventure incredibili. O almeno diventano tali quando le si rivede nella memoria. Ho letto libri, di storie inventante, che avevano trame con meno fascino. A volte solo le nostre memorie, ed un ruscello possono creare le più grandi delle avventure.

Anzi tutto i protagonisti, che oltre a me hanno affrontato questa impresa.

Molti bambini sono stati condotti sui sentieri della vita dai propri nonni. Ed anche in questo caso era mio nonno ad accompagnarmi. È unico, è stato lui ad insegnarmi una marea di cose. Per esempio che assicurando un cuscino al portapacchi di una bici, quella diventasse una bi-posto niente male. Oppure che quando si viene sorpresi, lontano da casa, da un acquazzone al quale non si era preparati, non resta che cantare a squarciagola e proseguire. Tutto sommato non siamo di zucchero e l’acqua non ci scioglie. (dovrò ricordare anche gli altri nonni della mia infanzia, dato che solo grazie a tutti loro sono cresciuto, se non parlo di loro è soltanto perché non entrano in questa vicenda). Ma la cosa più importante, era il suo spirito d’avventura, malgrado si trovasse molto lontano dalla sua casa. Questo era il Dziadek. (che non è uno strano soprannome, ma significa appunto “nonno” in polacco).

Il secondo membro della spedizione, ed unica femmina, era la mia cagna Pica. Ancora piccola e piena di energie, era quella che, grazie all’intuito e al fiuto canino, conosceva meglio i luoghi delle nostre avventure. O almeno dava questa impressione. Compagna instancabile correva battendo tutte le possibili direzioni, per poi tornare sui suoi passi e controllare che fossimo dietro di lei.

Infine v’ero anche io. Un ragazzino con poca concezione della realtà e che non aspettava altro che poter esplorare il mondo che lo circondava. Convinto di sapere tutto, ma in realtà completamente ignorante… ma quando si è così piccoli si fatica ad ammettere i propri errori.

Era questo il gruppo che partì alla Scoperta della Sorgente.

Erano i caldi giorni dell’estate. Quelle giornate soleggiate che spingono anche i più pigri fuori dalle mura domestiche. E noi non fummo di meno. La sfida che ci si parava dinnanzi, era la collina boscosa che circonda a nord-ovest la nostra città. Vi ero già stato, in auto, diverse volte. Ma quel giorno avrei dovuto conquistarla a piedi. Battendo sentieri sconosciuti, fino a raggiungere il luogo a me conosciuto. Dato che in macchina il tragitto era breve, non poteva poi essere così lontano.

Con lo spirito di chi si inoltra in una foresta vergine, iniziammo la nostra ascesa.

Non conoscevo i sentieri, e il Dziadek ancor meno di me. Seguivamo la mia immaginazione, il mio (scarso) senso dell’orientamento e Pica, che tra una annusata e l’altra teneva il passo.

Nessuno aveva un orologio. Sarebbe stato un vincolo troppo stringente, per noi esploratori delle foreste. L’equipaggiamento era minimo, l’intera impresa non avrebbe dovuto occupare più di un pomeriggio. Ben prima del calare del Sole avremmo dovuto essere già di ritorno a casa. Non era questo il primo dei nostri giri d’esplorazione, e non fu certo nemmeno l’ultimo. Ma non procediamo con ordine.

La giornata era soleggiata, e camminare per il bosco era un piacere. Come punto di riferimento s’era preso quell’enorme ripetitore della televisione, che deturpa parte del versante collinare che s’affaccia sulla città. Questo fu il primo errore, dato che appena entrammo nel bosco, lo si perse di vista.

Il secondo errore fu quello di non portarsi riserve idriche. Certo il percorso doveva essere breve, per questo non c’eravamo portati alcun che… ma non tutti i mali…

Dicevamo, la salita procedeva tranquilla, i sentieri erano un opinione per il nostro gruppo. Io non li conoscevo, e il Dziadek era abituato a non seguirli e fidarsi del suo istinto. Pica seguiva dei sentieri odorosi che erano chiari a lei sola.

Il fitto del bosco ci portò a una distanza infinita dal mondo civile. È come una magia, quando in tutte le direzioni di circondano solo alberi, rocce e cespugli ti pare impossibile che non lontano ci possano essere tracce di umanità. L’esplorazione di questo ambiente selvaggio non poteva che esaltarci.

Fu dopo alcune ore che ci rendemmo conto d’aver perso ogni contatto con la nostra meta. Il Sole iniziava a calare, e oramai dovevamo abbandonare il nostro progetto. Ma il modo fantasioso con cui c’eravamo fatti strada fino a quel punto non ci permetteva di tornare indietro sui nostri passi. Era necessario trovare un’altra via, più breve che ci portasse a casa. O almeno trovare una qualche traccia di umanità… qualcuno a cui chiedere la direzione. E le nostre gole iniziavano ad essere sempre più secche… la lingua di Pica penzolava come una fettina di carpaccio.

Senza mezzi termini puntammo alla discesa, scendendo lungo il crinale boschivo in linea retta. O quello che a noi poteva parere una discesa in questa direzione. Il nostro tentativo ebbe il risultato sperato. Con sorpresa sbucammo dalla foresta, per trovarci in un prato. Una casa circondata da un cancello si ergeva solitaria al limitare del prato stesso.

All’inizio credemmo che fossero i nostri occhi ad ingannarci, ma man mano che ci facevamo più vicini questo dubbio si dissolse. Nell’angolo della recinzione si trovava un rubinetto. Increduli ci avvicinammo, incuranti (o quasi) del cane di casa che ci abbaiava contro.

Con una foga che solo chi ha davvero sete può capire, ci avventammo sul rubinetto cercando di svitarlo. Scesero alcune gocce d’acqua… ma nient’altro…

Un certa sfiducia nella nostra impresa iniziava a pesarci addosso. Non sapevamo dove eravamo finiti, ne quale fosse la strada migliore per ritornare. Certo, potevamo proseguire discendendo semplicemente il crinale, prima o poi saremmo inevitabilmente giunti in città. Così proseguimmo seguendo la recinzione della casa. Fino a raggiungere una strada asfaltata che stava più in basso. Un metro e mezzo sotto al prato da cui venivamo, e separata da questo da un muretto di sassi.

Un uomo, stava appoggiato al muro, e ci osservava incuriosito. Certo chissà quali domande si poneva nel vedere il nostro eterogeneo gruppo spuntare da un prato che, col senno di poi, doveva essere certamente di proprietà privata. Era piuttosto magro, con una barba lunga un paio di centimetri. Aveva uno di quei moderni bastoni da passeggio, che somigliano ai bastoni da sci. Indossava una tuta, verde. O almeno così appare nei miei ricordi.

Non essendovi nessun’altro, e non avendo noi la più pallida idea su quale fosse la migliore direzione da intraprendere, decidemmo, senza troppi esitazioni, di chiedere aiuto a costui. Quasi fosse stato lì solo per aspettarci, ci rispose gentilmente, e ci condusse nuovamente verso il bosco. Imboccando un sentiero che si allontanava dalla strada. Ricordo con chiarezza la sua domanda fatidica: “Volete fare la strada con o senza l’acqua?”. La mia gola secca, e la curiosità non mi fecero esitare neppure un istante! “con l’acqua!” risposi entusiasta. Non immaginavo se questo avrebbe o meno allungato il tragitto, ma non m’importava, dovevamo bere.

Il sentiero costeggiava la montagna, passando sopra diversi torrenti. Secchi data la stagione. I piccoli avvallamenti erano una piccola sfida al nostro passaggio. Ma soprattutto un prezioso indizio per ricordare in futuro di quella via. La speranza dell’acqua promessa e l’ombra degli alberi rendevano il cammino più agevole ed il passo più sostenuto. Ben presto ci trovammo nel fitto del bosco. La nostra guida procedeva sicura, dando l’impressione, certo veritiera, di conoscere alla perfezione quei luoghi per noi tanto remoti.

D’improvviso, quasi inatteso, il rumore dell’acqua si mischiò a quello del vento fra le foglie. Con rinnovato entusiasmo affrontammo l’ultimo pezzo del sentiero. Incuranti e spavaldi dinnanzi alle discese fangose, aggrappandoci ai piccoli alberi che crescevano ai margini del percorso. Ovviamente la cosa non vale per Pica, che possedendo ben quattro arti motrici, nessuno dei quali prensili, se la cavava senza ausili esterni.

Raggiungemmo così il mitico luogo: La Sorgente. Una piccola valle si apriva dinnanzi a noi, trasversale rispetto al sentiero. E da un buco nella roccia, coperto da una lastra metallica, sgorgava impetuoso un ruscello di acqua. La frescura di quel luogo da sola sarebbe potuta bastare a rinvigorirci. Ma non potemmo resistere alla tentazione di bere a quella fonte. Ampie boccate di freschissima acqua. Infinitamente migliore di quella che usciva dai rubinetti di casa nostra. Se il Sole non fosse stato già basso, e ancor più tenue fra gli alberi del bosco, ci saremmo certo trattenuti ancora in quel luogo incredibile.

La nostra guida ci condusse infine, attraverso una via che percorreva i piccoli appezzamenti strappati al fianco della collina, fino alle case della città. Qua ci salutammo, e prendemmo la via di casa. Non l’avremmo più rivisto. Il Sole stava ormai tramontando, ma tornavo a casa davvero felice. Per una nuova conquista, certo, ma soprattutto per l’aver trovato una terra da esplorare. Già perché le avventure, le scoperte in quel bosco, ed attorno a quel piccolo corso d’acqua non erano affatto finite. Anzi questo era solo l’inizio.

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