martedì 29 maggio 2007

L'ultima esplorazione

Infine la decisione fu presa. Ci attrezzammo per completare l’esplorazione della misteriosa Sorgente. Per arrivare fino in fondo a quel torrente, quasi ai suoi piedi si dovesse aprire un paesaggio incantato fatto di valli boscose e acque limpide. Io, il prode cugino e Pica, ovviamente, la squadra che da sola avrebbe affrontato le insidie della sorgente.

Fu così che ancora ci spingemmo tra melme e rocce, fino alla cascata; alla grande cascata. Una pietra spuntava nel mezzo della pozza in cui l’acqua si tuffava, una sorta di piccola isola. Le acque azzurre, talmente cristalline da non sembrare nemmeno vere. Ma non dovevamo fermarci lì, non era per quello spettacolo che avevamo affrontato il cammino fino a lì. Pica era la più agile sul fango, ma la meno capace di scalare le rocce, ma certo nessuno meglio di lei avrebbe potuto trovare la via per aggirare l’ostacolo della cascata. Così, inerpicandoci tra rami e arbusti risalimmo attraverso il bosco, per girare attorno alla cascata e arrivare sotto di essa. Certo sporchi di fango fino alle ginocchia, ma cosa importava questo se davanti a noi avevamo quello spettacolo. Quella conca di roccia sulla quale l’acqua si rifletteva intessendo intrecci di luce. E schiumava cadendo dalla cascata, e smuovendo la pozza. Guardavamo quello spettacolo, mentre un’idea si concretizzava nelle nostri menti. Lì, un giorno, avremmo fatto il bagno.

Ma non ora, non quel giorno, mentre fantasticavamo su una possibile muta per ripararci dal gelo delle acque, si proseguiva il nostro cammino lungo il greto del torrentello. Saltando da una roccia all’altra, e cercando di evitare di inzuppare i piedi nelle buche d’acqua che, fredda com’era, certo non doveva essere un gran piacere.

Il torrentello correva, saltando da una buca all’altra, in mezzo alle rocce, a piccole grotte e anfratti. Tra gli alberi del bosco, che dal torrente sembravano quasi infiniti. Buche, acqua azzurra… un intero mondo racchiuso in una valle che ci sembrava fuori dal tempo e dallo spazio, un luogo magico e infinito.

Camminavamo certo, ma in fondo, la speranza era che la nostra esplorazione potesse non finire mai. Intanto la Sorgente iniziava a perdere in pendenza, a scorrere più lenta, in piano. Certo gli alberi ancora ci coprivano la visuale, e in realtà non avevamo occhi che per quel torrentello, per gli ostacoli da superare, per Pica da portare oltre le buche, sollevandola quando necessario. Ampie pozze da osservare, movimenti nell’acqua, certo pesci! Erano piccoli pesciolini neri, ma erano lì, e nuotavano a meno di un metro da noi. Veri pesci nella nostra Sorgente, che ora si vedeva era più che mai viva, e noi li osservavamo e saremmo rimasti anche lì, appostati tra le erbe ad osservarli se la nostra curiosità non fosse stata più forte. Se non fossimo stati animati sin dall’inizio della giornata dal desiderio di arrivare fino in fondo, questa volta, fino in fondo. Non era facile, affatto, le buche erano più grosse qua, spesso i sassi per passare erano davvero piccoli, o sporgevano solo di qualche centimetro dall’acqua.

Ma nemmeno questi ostacoli, così insignificanti parevano poterci fermare. È quasi incredibile come spesso accada che in un torrente, ci sia sempre un sasso, o una sequenza di pietre che permettano di passare da un lato all’altro senza bagnarsi. A volte, davvero, è solo questione di osservare con attenzione e un sentiero lo si trova, un passaggio e poi, con un salto, o due, e con la dovuta attenzione… si arriva dall’altra parte. E da lì si prosegue. Certo capitava di finire in vicoli ciechi, ma in un modo o nell’altro, su una sponda o sull’altra riuscivamo a proseguire…

Fino a che una grossa pozza, più che altro una distesa d’acqua non ci bloccò la strada. Scorreva lenta allargandosi da uno all’altro lato del ruscello, fino alle rive di terra e fango da dove gli alberi si affacciavano, sul pendio troppo ripido per essere percorso. E allora, davvero un po’ abbattuti e non senza aver tentato di trovare, disperatamente, un passaggio, rinunciammo a proseguire lungo il torrente. Andando di lato, su un sentiero che saliva attraverso gli alberi, e poi i rovi e poi… i campi.

Già non erano che pochi metri di alberi quelli che delimitavano il torrentello, e dietro a questi campi, campi di erba fatti a terrazze. Spaesati ci guardavamo attorno. Nessuna valle infinita e ricoperta di foreste inesplorate. Niente di tutto questo, alberi in lontananza, ma campi attorno a noi. E nemmeno tutt’attorno.

Poco più in là, case.

L’idea del bosco magico svaniva mentre camminavamo verso le case. Lentamente anche l’idea che potessero essere costruzioni isolate lasciava spazio alla realtà. Era la città.

Sembrava essere lei ad incombere su di noi, sul nostro spazio, sulla nostra Sorgente. E non i nostri passi che ci avvicinavano alle case.

Ancora non mi è ben chiaro come, ma ci ritrovammo, e posso assicurare, senza scavalcare, all’interno della recinzione di questo insieme di condomini. Suonammo da dentro il campanello per lasciarci uscire.

Eravamo in un quartiere, che io conoscevo. Praticamente dietro casa mia… del torrente? Nessuna traccia, doveva essere sotto, da qualche parte, sotto il cemento, sotto le case, sotto le strade. Chissà dove andava…

Ma così, la nostra valle era finita, il nostro bosco inesplorato scomparso… tutto era lì, attaccato alla città.

La nostra esplorazione era finita.

martedì 15 maggio 2007

Schivando la pioggia

Giusto questa mattina, tornavo in quel di Pavia.
Il classico dei classici viaggi in treno, di quelli che iniziano col sole, ti sbatacchiano su un sedile puzzoso e terminano con una pioggia scrosciante.
Ora avevo detto una volta che con la pioggia i treni sono più belli, romantici. Ecco, ciò non vale quando non si ha l'ombrello e la pioggia batte forte.

Non è nemmeno con rabbia che raggiunsi l'uscita della stazione, ma con risoluta accettazione. Pioveva: mi sarei bagnato. La cosa è piuttosto semplice.
Così mi infilai in mezzo alle persone ferme in attesa della fine della pioggia, costeggiando i muri per mettermi sotto vento ed evitare, il più possibile almeno, gli spruzzi dell'acqua.

Nessun altra ragione mi avrebbe spinto ad entrare nelle pensiline degli autobus. Una sorta di camera a Gas in cui enormi veicoli liberano i propri prodotti di combustione nel tentativo di saturare l'aria già inquinata della città. E il tutto avviene, nel caso vi fosse sfuggito, in un ambiente chiuso, per cui con un'accumulo spaventoso di gas di scarico.
Ho evitato la pioggia, ma forse non un tumore al polmone...

Ad ogni modo, in questo allegro ambiente c'erano tre ragazzi (ini) davanti ad un pulman che scalpitava per partire. Erano in tre e si passavano nervosamente una sigaretta. Il pulman fa per partire, il primo scatta verso la porta, il secondo lo segue tirando dalla sigaretta, ed il terzo agitato esclama "P***o D*o passa quella sigaretta". Che se lo dicesse un gangster in un qualche film sarebbe una frase ad effetto. Ma in quel posto, vicino ad un pulman, pronunicata con la voce ancora acerba e acuta di un adolescente, ha avuto solo la forza di mettermi una grande tristezza.

In compenso, però, ho preso molta meno pioggia...

lunedì 7 maggio 2007

Paura...

Non esiste al mondo, filo più sottile

Di quello che compone la trama di un Sogno.

Solo il pensiero di intrecciarlo, fugace

Mentre scivola dalle dita e scompare alla vista.


Troppo tozze le mani e inadatte le dita.

Non serve telaio, e grossolano è il fuso

Per quello che dal Mondo resta chiuso


Anche il pensiero più fine e ingombrante

In questa trama sottile e ammaliante

Non un pensiero, non una mano ci possono passare

Cosa allora lo potrà mai fare?



Karpakoff 7-05-2007